Sul valore dei simboli, delle bufale… e della cultura

Diciamoci la verità: sempre più raramente abbiamo il tempo di fermarci davvero a riflettere sulle cose, scavando un po’ oltre la retorica e scansando la comodità delle posizioni già formulate da altri. E’ una pratica molto dispendiosa, rischiosa e persino un po’ desueta, specie al tempo delle stories e degli instant message.

Ed è ancora meno il tempo che ci si può concedere poi a scrivere e a condividere il risultato di tali riflessioni. Mentre è invece alto il rischio – più alto con l’avvicinarsi alla data delle elezioni – che qualcuno possa interpretare questo scriverne (e soprattutto il non farlo) come risultato di una qualche strategia di avvicinamento o allontanamento da eventuali soggetti politici coinvolti nel ragionamento.

Non che la cosa importi davvero, ma tutto ciò è un po’ deprimente e misero. O no?

Tolta questa premessa di contesto, la notizia è che siamo riusciti a “trovare tempo” ed occasione per esprimere – in un solo articolo – sia un apprezzamento che una critica all’attuale amministrazione. Per cui, se non la par condicio si apprezzi almeno l’economia dello sforzo.

L’apprezzamento è per la bella iniziativa comunale di istallare le nuove panchine in piazza Parrocchia in versione colorata: di rosso, per denunciare l’aberrazione della violenza sulle donne; in azzurro, l’inumana variante nei confronti dei minori.

Ottima idea, che dimostrerebbe una certa attenzione nell’adempiere anche a forniture ordinarie come questa e nella capacità di trasformarle in occasioni cariche di valori simbolici, portatrici di messaggi ampi, profondi e ulteriori. 

Immagino cittadini comuni che, lontani da Facebook e dai comunicati amministrativi, e a maggior ragione da articoli come questo, sedendosi in compagnia si chiederanno delle ragioni di queste cromie originali e altri – più informati – risponderanno e proveranno a motivare il senso simbolico della scelta. Magari con perplessità, magari banalizzando l’atto, ma ancor più probabilmente facendo scaturire un dibattito, occasione di confronto e riflessione a viso scoperto, anche sul tema. 

Perché inginocchiarsi in un campo prima di una partita – diversamente da quanto lasciato intendere ad intermittenza da un’imbarazzante Figc con la nazionale italiana – o indossare un lutto al braccio, non risolve la piaga del razzismo e tantomeno non riporta in vita il defunto commemorato, ma la portata di un gesto divenuto significante è sufficiente a farci capire da che parte sta chi ha voluto compierlo, cosa ha valore, e ci obbliga a tenerne conto, a ricordare il tema e spesso a prendere posizione. 

Passando alla critica, invece, rimaniamo sulla stessa iniziativa, che si è voluta completare con l’arricchimento (!) di alcune frasi a corredo.

La prima «Se ami non uccidi. Non è normale che sia normale» è un assunto semplicemente banale, selezionato da qualche listone di aforismi per quell’uso apparentemente creativo di “normale”, che è invece ciò che rende l’affermazione in buona parte depauperata di senso e forza. 

Ma l’apoteosi è l’altra: “Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini. – D.Alighieri” (si veda foto).

Leggendola ho subito pensato: ma che c**** ha scritto Dante? C’è rimasto davvero solo questo in paradiso? E ce lo dice così, dopo aver dedicato al Paradiso almeno 33 canti tuttora in voga? I conti non mi tornavano ed ho fatto una cosa audace, che dovrebbe fare chiunque (soprattutto chi decide di farne un uso straordinario): ho cercato su google. Provate anche voi (qui il link).

Il primo risultato recita: “La bufala dell’aforisma attribuito a Dante”. Il secondo invece lo inserisce in una una raccolta di “Citazioni errate”. Basta approfondire un altro po’ per non avere più alcun dubbio sul fatto che Dante non abbia mai scritto – e probabilmente detto – nulla di simile. Del resto, più che a Dante, sembra una di quelle frasi che negli anni ’80 veniva attribuita a Jim Morrison nei diari di scuola (del tipo: “Se una mattina ti svegli e non vedi più il sole, o sei morto o sei il sole”), in una versione molto meno enigmatica e ben più melensa.

Da qui la critica, ma anche la richiesta: correggete subito quell’incisione. Se siamo d’accordo, come detto nella prima parte dell’articolo, che il valore simbolico ha la sua importanza, lo svarione si candida a diventare il simbolo di una sciatta superficialità, nella ricerca e negli atti, oltre che di un uso della cultura da didascalia buona solo per i social

Cambiamo frase prima che finisca questo 2021, che è una data simbolica anche questa, in cui ricorre il 700° anniversario dalla morte del Sommo Poeta e di quello che Dante simboleggia per l’Italia.

Attenzione: per scrivere questo post non è stata rubata cultura. Si segnala che la stessa è molto spesso gratis, a disposizione potenzialmente di tutti. Persino su google.